In linea con le previsioni di mercato, la riunione del FOMC dello scorso mese di marzo – come ben noto – si è conclusa con un rialzo dei tassi di riferimento fed funds di 25 punti base, conducendo così il livello degli stessi fed funds in un range compreso tra 0,75 per cento e 1,0 per cento. La decisione è stata assunta con un solo voto contrario, quello – ampiamente preannunciato – di Kashkari.
Peraltro, a dispetto delle attese, i toni del comunicato e della conferenza stampa sono rimasti cauti, compatibili con un sentiero di aumenti ancora graduali per il resto dell’anno. Ricordiamo in tal proposito come l’istituto monetario statunitense abbia stimato in 3 i rialzi da verificarsi nel corso del 2017, con una concreta accelerazione rispetto ai ritmi assunti nel 2015 (1 rialzo) e nel 2016 (1 rialzo).
Nel suo comunicato, il Comitato afferma di continuare a valutare i rischi sullo scenario come “circa bilanciati”; il messaggio di Yellen dalla conferenza stampa ”è che l’economia sta bene”. D’altronde, dati macro economici alla mano, è facile notare come si sia verificato nel corso delle ultime settimane un ulteriore rafforzamento dell’attività economica, con forte crescita degli occupati, nuova crescita dei consumi privati e una gradita ripresa degli investimenti.
Spostandoci poi al campo dell’inflazione, la Fed registra l’avvicinamento all’obiettivo del 2 per cento, con un rialzo delle stime per il dato core sul 2017.
A questo punto, diventa sempre più probabile come le decisioni sulle prossime mosse dipendano dall’evoluzione dei dati e dagli sviluppi finanziari. L’unica variazione riguarda il riferimento all’obiettivo di inflazione che, secondo i chiarimenti di Yellen, non trova nel 2 per cento un tetto inviolabile. È possibile dunque che venga tollerato un certo grado di overshooting nei prossimi mesi.