La Comunità di energia rinnovabile è l’equivalente dell’inglese Rec (Renewable energy community), e rappresenta un soggetto giuridico autonomo, con partecipazione volontaria, che è controllato da azionisti o da membri situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia rinnovabile. Tale soggetto può assumere diversa forma giuridica, come quello dell’associazione, degli enti del terzo settore, della cooperativa, del consorzio, del partenariato o ancora dell’organizzazione senza scopo di lucro.
Si noti che, stando a quanto suggerisce l’attuale normativa italiana, le utenze mediante tramite le quali gli aderenti a una comunità di energia rinnovabile condividono l’energia devono essere connesse a reti elettriche di bassa tensione sottese alla stessa cabina elettrica secondaria di trasformazione Mt/Bt.
Che scopo ha la comunità di energia rinnovabile?
Lo scopo principale della comunità di energia rinnovabile è quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali agli azionisti o ai membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.
Le Comunità e i Gruppi di autoconsumatori di energia rinnovabile sono la stessa cosa?
No. Come sancito dalla direttiva 2018/2001 (Red II), il Gruppo di autoconsumatori non crea un soggetto giuridico a sé stante, ma è legato da un accordo di tipo contrattuale. Tutti gli autoconsumatori devono inoltre essere situati nello stesso edificio o nello stesso condominio. L’autoconsumatore produce energia elettrica per il proprio consumo, ma niente vieta a tale operatore di immagazzinarla o di venderla.
Quali impianti di produzione di energia sono ammessi?
Ad essere ammessi a tali impianti di produzione sono quelli alimentati da fonti rinnovabili, entrati in esercizio tra il 1° marzo 2020 e i 60 giorni successivi al recepimento della direttiva Red II, a patto che abbiano una potenza non superiore ai 200 kW. Possono essere così ammessi impianti di nuova costruzione o potenziamenti impianti esistenti che usano solo l’energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, delle biomasse, dei gas di discarica, dei gas residuati dai processi di depurazione e del biogas.
Si tenga altresì in considerazione che la proprietà degli impianti è libera e che nelle ipotesi di autoconsumo collettivo, può essere di un terzo purché soggetto alle istruzioni degli autoconsumatori. Nelle ipotesi della comunità, può essere di un terzo, ma l’impianto dev’essere detenuto dalla comunità sulla base di un titolo giuridico anche diverso dalla proprietà, come ad esempio può avvenire nelle ipotesi di usufrutto, di locazione, di comodato d’uso).
Infine, si annota come le attività permesse siano quelle di produzione, di vendita, di accumulo e di condivisione (nella comunità) dell’energia prodotta. La quota di energia prodotta e condivisa è equiparabile all’autoconsumo in situ, pertanto in rapporto a tale quota vengono ristorate le componenti tariffarie variabili di trasporto e di distribuzione.
Ricordava poi qualche giorno fa il quotidiano Il Sole 24 Ore che per ogni kWh di energia condivisa viene riconosciuta dal Gse, per 20 anni, una tariffa premio pari a 100 €/MWh per i gruppi di autoconsumatori e 110 €/MWh per le comunità di energia. Alla fine dei 20 anni, il contratto può essere oggetto di proroga annuale in rapporto alla quota di ristoro delle componenti di trasporto e distribuzione.